Servizi Geologici: Geologia, Geotecnica, Idrogeologia e Ambiente

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La ricarica artificiale degli acquiferi

L’estate 2022 rimarrà negli annali per aver portato alla luce una tematica che era rimasta finora del tutto accantonata: la disponibilità di acqua di falda. Complice una grande disponibilità della risorsa, soprattutto nell’Alta Pianura, si è portati a darla come acquisita e infinita, ma non è così.

Uno scarsissimo apporto di precipitazioni che si è protratto fin dall’inverno precedente, con assenza di neve a monte, ha causato evidenti diminuzioni nelle portate di fossi canali e fiumi Veneti. Oltre agli effetti evidenti sulla rete idrografica, ha causato anche un abbassamento delle falde in pianura, soprattutto quelle più superficiali che vengono utilizzate da utenze civili.

Vorrei porre l’attenzione sulle esperienze di ricarica artificiale delle falde freatiche, in quanto è una delle poche azioni che possono essere messe in campo per contrastare il loro impoverimento dovuto al concerto fra sfruttamento umano, scarsa ricarica causata da stagioni particolarmente aride e non ultima la sempre più intensa impermeabilizzazione del territorio.

La ricarica può essere realizzata mediante bacini di dispersione, anche fluviali, pozzi e trincee di drenaggio, oppure essere gestita con pozzi d’iniezione. In ogni caso l’apparente semplicità concettuale del metodo e l’utilizzo di tecniche che simulano i comportamenti “naturali” non mette in salvo da svantaggi molto seri, quali:

  • è necessaria una conoscenza molto approfondita e su vasta scala del bacino affluente e della struttura idrogeologica dell’acquifero.

  • questa attività può comportare un difficile mantenimento a lungo termine, a causa dell'elevato grado di intasamento che può verificarsi già entro pochi giorni dall'iniezione. L'intasamento all'interno della falda acquifera diminuisce la portata, ostacolando così la successiva estrazione. Tra i vari tipi di ostruzione, fisica, biologica e chimica, quella biologica o più specificamente, microbica è quella che viene studiata con maggiore interesse.

  • il rischio di inquinamento diretto delle falde che ricevono i volumi per la ricarica; le acque devono essere monitorate costantemente e trattate prima dell’immissione.

Nel mondo le esperienze sul campo sono iniziate già negli anni ‘60-’70 dapprima nelle regioni più aride e in quelle con problemi di elevata salinità nelle falde. La convenienza anche economica di questi interventi è stata valutata con le esperienze sul campo ed ha portato alla conclusione che sono sostenibili solo su larga scala, con importanti volumi d’acqua.

Nella Regione Veneto possiamo citare il progetto AQUOR iniziato nel 2011 che ha avuto per oggetto la “implementazione di una strategia partecipata di risparmio idrico e ricarica artificiale per il riequilibrio quantitativo della falda dell’alta pianura vicentina” ed era cofinanziato dal programma LIFE+ della Commissione Europea. I partner coinvolti sono stati: Provincia di Vicenza (coordinatore), Acque Vicentine, Alto Vicentino Servizi, Consorzio di Bonifica Alta Pianura Veneta, Consorzio di Bonifica Brenta, Centro Idrico Novoledo e Veneto Agricoltura.

Gli interventi realizzati nell’Alto Vicentino sono numerosi e così distribuiti:

Tabella tratta da: “Tecniche dimostrative di ricarica artificiale per il riequilibrio quantitativo della falda dell’Alta Pianura Vicentina - Aquor abbiamo a cuore l’acqua”

a cura di L. Agostinetto, F. Dalla Venezia per Veneto Agricoltura, G. Gusmaroli per Studio Ecoingegno in Collaborazione con Provincia di Vicenza et alii


Come abbiamo visto le sperimentazioni sono tante anche molto vicine a noi, è importante avere consapevolezza che oltre ai comportamenti virtuosi del singolo cittadino vi è un tentativo di visione più ampia anche da parte dell’amministrazione pubblica di un fenomeno che ci coinvolgerà sempre più da vicino.

elisa scomazzon
Pericolosità da alluvione in Italia

Il nuovo rapporto sulle condizioni di pericolosità da alluvione in Italia e indicatori di rischio associati, aggiornato ai dati 2020 e pubblicato da ISPRA, fa emergere un’Italia particolarmente esposta agli eventi meteo estremi collegati alla crisi climatica che stiamo vivendo.

Secondo l’analisi dell’Istituto, circa il 5,4% del territorio nazionale ricade in aree potenzialmente allagabili, secondo uno scenario di probabilità/pericolosità elevata; mentre sale al 14% in caso di scenario di probabilità/pericolosità bassa.

Il 7,4% dei comuni italiani ha almeno il 20% della superficie in area allagabile in caso di scenario di probabilità elevata.

Le Regioni Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana e Calabria sono quelle in cui le percentuali di territorio potenzialmente allagabile risultano superiori rispetto a quelle calcolate alla scala nazionale.

In queste regioni sono a rischio non sono solo le singole persone ma anche il patrimonio collettivo. Nelle aree a pericolosità elevata risiede infatti il 4,1% della popolazione nazionale – ovvero oltre 2,4 milioni di persone – e ricade anche il 7,8% dei beni culturali, valori che raggiungono rispettivamente il 20,6% (ovvero 12,2 milioni di persone) e il 24,3% nelle aree potenzialmente allagabili con bassa probabilità.

Purtroppo le contromisure prese di fronte a questa non nuova emergenza sono costantemente insufficienti. Il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, presentato per la prima volta in bozza nel 2017, non è ancora stato ultimato; e le risorse economiche messe in campo contro il dissesto idrogeologico sono irrisorie anche all’interno del Piano nazionale di ripresa e resilienza (2,49 miliardi di euro su circa 200 totali).

Al cittadino viene richiesto che per ogni intervento edilizio si dimostri la compatibilità idrogeologica con la situazione esistente, nonchè il rispetto del principio di invarianza idraulica. Spesso sono richieste molto onerose per il singolo che però, in questo modo, contribuisce attivamente alla salvaguardia ambientale ed alla sicurezza idrogeologica del territorio in cui opera.

Mi si permetta allora una piccola provocazione: in questa inedita stagione di bonus e superbonus, sarebbe così difficile pensarne uno “climatico”?

Ci aspettano nuove sfide sui temi ambientali, credo sia tempo di creare anche nuovi valori, che il singolo possa accumulare o spendere, legati a comportamenti che riducano il nostro impatto ambientale.

E’ partendo da utopie a volte che si arriva anche a qualche risultato concreto.

elisa scomazzon
E quando manca la rete fognaria?

Impianti di smaltimento acque nere domestiche in aree non servite da fognatura pubblica nella Regione Veneto.

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Il problema dello smaltimento delle acque reflue domestiche, in aree non servite da rete pubblica investe diversi aspetti:

- l’aspetto ambientale, perchè si disperde nel sottosuolo dell’acqua che deve aver subito un trattamento di depurazione o abbattimento della carica batterica, che spesso arriva alla prima falda, soprattutto nelle aree di bassa pianura

- l’aspetto funzionale, l’impianto deve essere efficiente, quindi deve essere calato nella realtà geologica e idrogeologica del sito, per allontanare efficacemente le acque

- l’aspetto economico, che non è secondario, va di pari passo con la funzionalità ed anche con le tecnologie più moderne e rispettose dell’ambiente disponibili.

Il Piano di Tutela delle Acque regionale stabilisce che le metodologie di smaltimento sono tre: subirrigazione semplice, subirrigazione con drenaggio e fitodepurazione. Non è altrettanto chiaro chiaro che la scelta tra questi metodi non può essere dettata da consuetudine o preferenze personali, quanto dall’attenta analisi delle condizioni geologiche, idrogeologiche e logistiche del sito. Prova ne è che non in tutti i comuni viene richiesta la Relazione Idrogeologica per la realizzazione dell’impianto di smaltimento.

L’indagine geologica e idrogeologica è necessaria per la scelta dell’impianto, in quanto il geologo definisce la permeabilità dei terreni, cioè la loro capacità di farsi attraversare dai liquidi. Sulla base della stima della permeabilità, dimensiona la lunghezza della subirrigazione; meno sono permeabili, più tempo sarà necessario a far infiltrare le acque depurate e quindi la trincea drenante sarà più lunga. Il giusto dimensionamento si traduce rapidamente in risparmio per i Committenti.

Il geologo definisce la profondità di falda, che in alcune situazioni può essere anche molto prossima alla superficie. La norma prevede che vi sia un franco di almeno un metro fra la base della trincea drenante e la falda, questo per assicurare che non vi sia contatto fra le acque ancora da trattare e la falda.

In sostanza, l’apporto del geologo consiste nel suggerire il sistema di trattamento più efficace e corretto per il caso specifico e nel suo dimensionamento.

Un professionista, per questo segmento così importante, può individuare l’impianto che smaltisca nel miglior modo possibile le acque reflue; si consideri poi che alle tecnologie più classiche si sono aggiunti negli ultimi anni anche impianti di depurazione secondaria molto efficienti, anche per uso domestico. Uno specialista allontana l’eventualità di creare delle “piccole paludi” domestiche o impianti sottodimensionati che vanno in crisi pochi anni dopo la messa in opera.

Al risparmio sul lungo periodo, alla garanzia di funzionamento per la Committenza, alla tranquillità per il Progettista, che sono elementi già sufficienti a compiere questo “salto di qualità”, si aggiunge il rispetto per l’ambiente.

Occorre un nuovo approccio agli scarichi domestici, ed anche una nuova consapevolezza ambientale, che ci faccia abbandonare l’idea che basta relegare il problema sotto terra, perchè, per loro natura, i problemi di scarico si fanno sentire forte e chiaro.

elisa scomazzon
Le indagini geognostiche nell'adeguamento sismico degli edifici (SISMA bonus)

Con l’istituzione di numerosi bonus e agevolazioni fiscali, si è aperta una stagione di rinnovamento e adeguamento del patrimonio edilizio privato.

Nel caso degli adeguamenti sismici il ruolo del Geologia del sito riveste una grande importanza, in quanto le caratteristiche stratigrafiche, geologiche ed i parametri sismici attribuibili all’area costituiscono uno degli elementi di base del quadro conoscitivo.

In questo caso il Geologo è chiamato a programmare l’indagine di base che andrà a contestualizzare le opere di adeguamento nel contesto geologico dell’edificio, approfondendo due aspetti fondamentali:

  1. La definizione stratigrafica dei terreni in sito e delle loro caratteristiche geomeccaniche

  2. le caratteristiche geofisiche dei terreni e la loro parametrizzazione

L’indagine stratigrafica deve essere spinta fino ad una profondità significativa ed eseguita con mezzi adeguati, finalizzata comunque a reperire la maggior quantità di dati con metodi affidabili e standardizzati.

Per questo, è necessaria la conoscenza dei principali metodi di indagine dei terreni quanto reperire le attrezzature giuste, in base ad accessibilità e approfondimento dell’indagine.

Le competenze geologiche si rendono necessarie sia nella fase di analisi dell’esistente che in quella di progettazione degli interventi, si tratta in sostanza di programmare delle indagini come fosse un nuovo edificio.

E’ importante che le competenze degli attori in gioco siano rispettate, per tutelare la Committenza ma anche i Progettisti, che certificano e asseverano gli interventi.

elisa scomazzon
Novità normative su Radon anche negli edifici residenziali

Il 27 agosto 2020 è entrato in vigore il D.L. 31.07.2020 n.101 di attuazione della direttiva 2013/59/Euratom, che stabilisce norme fondamentali di sicurezza relative alla protezione contro i pericoli derivanti dall'esposizione alle radiazioni ionizzanti, e che abroga le direttive 89/618/Euratom, 90/641/Euratom, 96/29/Euratom, 97/43/Euratom e 2003/122/Euratom e riordino della normativa di settore in attuazione dell'articolo 20, comma 1, lettera a), della legge 4 ottobre 2019, n. 117. 

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la nuova norma si esprime anche riguardo alle sorgenti naturali delle radiazioni ionizzanti, con particolare attenzione all’esposizione al Radon sia nei luoghi di lavoro che in quelli domestici.

L’Art.10 del Decreto introduce tempistiche riguardo alla redazione ed all’adozione del Piano Nazionale d’azione per il Radon, nonchè:

a) le strategie, i criteri  e  le  modalita'  di  intervento  per prevenire e ridurre i rischi di lungo termine dovuti  all'esposizione al radon nelle abitazioni, negli edifici pubblici  e  nei  luoghi  di lavoro, anche di nuova costruzione, per qualsiasi fonte di radon, sia essa il suolo, i materiali da costruzione o l'acqua;                                          b) i criteri per la classificazione delle zone in cui si  prevede che la concentrazione di radon come media annua superi il livello  di riferimento nazionale in un numero significativo di edifici; 
c) le regole tecniche e i criteri di realizzazione di misure  per prevenire l'ingresso del radon negli  edifici  di  nuova  costruzione nonche' degli interventi di ristrutturazione su edifici esistenti che
coinvolgono l'attacco a terra; 
d) gli indicatori di efficacia delle azioni pianificate.

Un altro aspetto di rilievo è affrontato all’Art.12 e riguarda i livelli di riferimento, che diventano pari a 300 Bq/mc in termini di valore medio annuo della concentrazione in aria, sia nelle abitazioni esistenti che nei luoghi di lavoro, per passare a 200 Bq/mc negli edifici costruiti a partire dal 2025.

Possono essere individuati anche limiti di riferimento inferiori o differenziati in relazione ai diversi usi degli edifici sulla base delle determinazioni del Piano Nazionale.

Valutare la presenza di Radon negli edifici e se possibile adottare dei criteri di allontanamento del gas già in fase progettuale è importante per la salubrità dei luoghi in cui abitiamo e lavoriamo.

Esistono condizioni geologiche, stratigrafiche che ci permettono di individuare aree a rischio.

Per una corretta impostazione del problema di rischiosità di un’area, risulta quindi necessario procedere a valutazioni che implichino considerazioni sulla geologia locale ed in particolare:

  • Il dominio geologico condizionante la litologia;

  • La permeabilità dei suoli;

  • La presenza di faglie e fratture locali o regionali che può convogliare grandi quantità di gas da profondità notevoli;

  • La presenza di cavità sotterranee;

  • Lo spessore e natura della coltre di copertura.

    Ad ulteriore sostegno di questa posizione si richiama l’attenzione sul fatto che in tutti i paesi esteri dove viene prestata attenzione al problema Radon, le mappe di rischio sono redatte dai competenti Servizi Geologici.

elisa scomazzon
Presenza di infiltrazioni d’acqua entro piani interrati - Il ruolo del geologo nell’individuazione delle cause
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La comparsa di infiltrazioni d’acqua sui muri o alla base di piani interrati è una faccenda assai fastidiosa che ci mette di fronte a problematiche spesso complesse.

Sono macchie di umidità che compaiono dopo anni dalla costruzione dell’edificio, risalgono lungo muri, a volte si vede l’acqua che affiora dalle fughe della pavimentazione.

Sono situazioni molto comuni, nelle quali tutti ci siamo trovati coinvolti, spesso come tecnici interpellati dalla Committenza, se non anche come proprietari dell’immobile.

In questi casi vengono interpellate varie figure, nel tentativo di trovare la provenienza dell’acqua: si parte dall’idraulico, passando all’impresario della ditta che ha eseguito dei lavori, all’imbianchino, al piastrellista, financo al rabdomante.

In realtà è utile procedere per esclusione, in quanto le cause delle infiltrazioni d’acqua spesso non sono individuabili in maniera chiara ed univoca, ma ancora più utile sarebbe avere una figura che coordina le diverse parti in gioco, che abbia una visione d’insieme e raccolga tutti gli elementi che possano portare alla comprensione del problema.

Il geologo è sicuramente una figura utile nella fase di indagine e comprensione delle cause della problematica. L’acqua di infiltrazione può avere diverse provenienze: da perdite degli impianti, da una cattiva gestione degli scarichi o anche dalla falda freatica.

Escluse cause interne, l’indagine delle condizioni idrogeologiche al contorno dell’edificio è di fondamentale importanza.

La programmazione di una indagine idrogeologica sul sito in funzione del contesto idrogeologico generale, delle peculiarità geologiche e geomorfologiche e anche dell’accessibilità, permette di inquadrare eventuale presenza di falda, la sua alimentazione, le prevedibili oscillazioni annuali. Non è mai superfluo indagare le condizioni idrogeologiche, può servire come conferma che le condizioni da indagare sono quelle interne, oppure per includere nelle cause la possibilità di infiltrazioni dall’esterno dell’edificio.

Data la quantità elevata di elementi in gioco, l’esperienza in questo tipo di casistiche è fondamentale.

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Esempio di caso di infiltrazione d’acqua al di sotto di un pavimento, in presenza di platea di fondazione. In questo caso, oltre alle condizioni dell’impianto idraulico è stato utile ricostruire anche la tipologia di fondazione e la suddivisione degli strati, al fine di poter ipotizzare il volume di invaso.

E’ difficile individuare tipicità nei fenomeni in quanto ogni edificio ha una sua storia, è inserito in un contesto peculiare ed è stato realizzato in un modo assolutamente unico.

Quando si chiama un geologo ad analizzare questo tipo di problematiche, deve essere chiaro che il suo contributo riguarderà :

  • le condizioni al contorno, l’analisi geologica e idrogeologica e l’eventuale presenza di falda freatica o di venute d’acqua legate all’assetto idrogeologico del territorio.

  • il rapporto fra l’assetto idrogeologico e geologico del sito con l’edificio, anche sulla base della conoscenza delle sue caratteristiche costruttive ed eventuale presenza di punti di discontinuità o debolezza nei confronti delle acque circolanti

    Queste informazioni che sono fondamentali in tutte le fasi di vita di un edificio, fin dalla sua progettazione permettono di avvicinarsi in maniera significativa alla comprensione del problema e quindi alla sua soluzione.

elisa scomazzon
TERRE E ROCCE DA SCAVO: Il Geologo è il professionista più qualificato a seguirne la gestione
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A più di due anni di distanza dall’entrata in vigore del DPR 120/2017 ARPAV presenta il volume: “Metalli e metallodi nei suoli del Veneto - Definizione dei valori di fondo”, uno strumento fondamentale per l’inquadramento organico delle caratteristiche chimiche dei suoli nei territori in cui siamo chiamati ad operare.

Questa pubblicazione, che fa seguito ad altre prodotte dallo stesso Ente nel 2011 sullo stesso argomento c’è una importante novità; seguendo sempre rigore scientifico e documentazione accuratissima di metodi e risultati lo studio descrive il territorio regionale suddividendolo in unità fisiografiche e deposizionali.

Questo approccio non è solo formale ma di vera sostanza. In questo modo si legano in maniera diretta le caratteristiche chimiche del territorio alla sua storia geologica ed alle caratteristiche mineralogiche dei bacini di provenienza delle alluvioni.

Resistono fra i metalli da analizzare nei terreni anche casi in cui le maggiori concentrazioni (rispetto alle tabelle di riferimento del D.Lgs. 152/2006) sono attribuibili all’attività antropica: un esempio per tutti il Rame con forti concentrazioni dovute allo spargimento sui suoli agricoli di fitofarmaci, deiezioni zootecniche o prodotti fitosanitari utilizzati nei vigneti. Quindi l’analisi storico ambientale resta uno dei capisaldi per la caratterizzazione delle terre da scavo.

Nella pubblicazione ogni unità viene descritta nelle sue caratteristiche geochimiche sulla scorta di un numero molto ampio di analisi di riferimento, tenendo in buon conto il bacino di provenienza delle alluvioni e/o le caratteristiche geologico stratigrafiche. La geologia del sito è fondamentale per inquadrarlo dal punto di vista geochimico.

Il Geologo in questi casi può diventare il professionista più giusto per descrivere le condizioni ambientali e chimico fisiche ed interloquire con l’Ente preposto al controllo.

La semplice lettura dei risultati delle analisi sui campioni può risultare esaustiva quando tutti i valori rientrano nelle tabelle di riferimento stabilite per legge ed uguali su tutto il territorio nazionale.

Viceversa, quando si rilevano situazioni in cui i valori delle concentrazioni di alcuni elementi superano quelle delle CSC diviene necessaria una lettura che contestualizzi i risultati e li ponga nella giusta prospettiva in relazione alle caratteristiche geochimiche del sito in esame oltre che della sua storia.

In questo modo il professionista si pone come interlocutore attivo nei confronti dell’Ente di controllo, proponendo dove necessario, le soluzioni più rispettose della normativa vigente.

elisa scomazzon
Evoluzione morfologica dell'alveo del fiume Brenta a seguito di prolungati interventi antropici

Il fiume Brenta è uno dei principali fiumi della Pianura Veneta.

Si origina dal Lago di Caldonazzo, attraverso la Valsugana sbocca a Bassano del Grappa da cui inizia il suo lungo percorso sulla Pianura Veneta attraversando le Province di Vicenza, Padova e Venezia fino allo sbocco al mare, a Sud di Chioggia.

L’attività estrattiva di ghiaie e sabbie è stata particolarmente attiva a partire dagli anni ‘50 fino ai primi ‘80, si aggiunga anche la costruzione di diversi sbarramenti e dighe nel tratto a monte per scopi idroelettrici, canalizzazioni, derivazioni irrigue e si capisce bene quanto il Fiume sia stato importante per lo sviluppo delle attività umane che vi si affacciano.

Lo sfruttamento della risorsa fiume ha certamente contribuito allo sviluppo economico di una vasta area della Pianura Veneta. Il bilancio dello sfruttamento di una risorsa naturale è sempre un’operazione molto difficile in quanto troppe sono le implicazioni anche di tipo sociale ed economico, pertanto le mie valutazioni saranno qui di ordine strettamente geomorfologico.

Attraverso la sovrapposizione ed il confronto fra i diversi profili lungo il tratto Bassano-Carturo rilevati negli anni, si sono potuti valutare gli abbassamenti del letto, sempre più incassato nella pianura procedendo da Nord verso Sud.

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A supporto si cita una ricerca eseguita dalla sottoscritta in collaborazione con il Consorzio di Bonifica Pedemontano Brenta nell’anno 1997 a supporto della tesi di laurea dal titolo: ”Evoluzione morfologica dell’alveo del Brenta da Bassano a Padova – Analisi comparativa di 12 sezioni trasversali rilevate tra il 1932 ed il 1997”

”Tra il 1932 ed il 1933, il Magistrato alle Acque per le Provincie Venete e di Mantova aveva effettuato una campagna di misure trasversali all’alveo del Brenta, a partire dalla sorgente fino allo sbocco al mare, con frequenza di uno ogni due chilometri circa.

Per 12 di queste sezioni, che interessano un tratto compreso fra ”Case Marchesane” (Bassano del Grappa) e ”Case Biasio” (San Giorgio in Bosco), il Consorzio di Bonifica Pedemontano Brenta ha ripetuto le misure negli anni : 1966-1970-1973-1979; mentre nel 1984 il rilevamento è stato eseguito in collaborazione con i Proff. GB Castiglioni e GB Pellegrini dell’Università di Padova.

Un dato interessante emerso dalla succitata ricerca si ha dal confronto fra le sezioni rilevate successivamente agli anni in cui l’escavazione in alveo venne proibita. Gli equilibri fluviali erano profondamente modificati da asporto di materiale e dalla costruzione di briglie che impedissero il regredire verso monte dell’erosione, anche a seguito della caduta del Ponte di Fontaniva. La portata solida del fiume proveniente dal bacino di monte era quasi inesistente, per effetto della costruzione di dighe e prese.

In queste condizioni, il ripascimento dell’alveo era impossibile, infatti non ci fu un aumento delle quote del letto, bensì una sostanziale redistribuzione e appiattimento della sezione più recente, ormai incassata profondamente entro la pianura.

La trattazione più estesa si può leggere nella pubblicazione a cura del Dott. N. Surian, Prof. G.B. Pellegrini ed Elisa Scomazzon dal titolo “Variazioni morfologiche dell’alveo del fiume Brenta indotte da interventi antropici”, riportata sotto.

Rifiuti da costruzione e demolizione (prospettive di economia circolare)

Si è tenuto a Padova il 27 febbraio scorso, per iniziativa dell’Ufficio Unico Regionale ambiente della C.C.I.A.A. di Venezia Rovigo, in collaborazione con il Tavolo tecnico “Economia circolare nelle infrastrutture” del Veneto e con il patrocinio della Regione Veneto e della città di Padova un interessante convegno sul tema: “Rifiuti da costruzione e demolizione - prospettive di economia circolare”.

L’incontro è stato utile per fare il punto sul tema dei rifiuti da demolizione e ricostruzione in tutti gli aspetti che li coinvolgono: sono stati esposti i problemi normativi, quelli legati alla caratterizzazione chimica e fisica dei materiali, quelli legati al riutilizzo ed alle caratteristiche prestazionali.

Il quadro legislativo si presenta ancora con alcune criticità. Gli operatori del settore attendono con sentito interesse che vengano forniti gli strumenti normativi che permettano di organizzare in maniera efficiente tutte la filiera che va dalla demolizione al riutilizzo in sicurezza dei materiali da costruzione e demolizione.

Le problematiche legate alla caratterizzazione chimico fisica dei materiali da demolizione sorgono dalla necessità di avere campioni rappresentativi dell’ammasso e metodiche di analisi che tengano conto anche dell’ambito in cui saranno riutilizzati questi materiali. Il dibattito è stato quindi propositivo in quanto si sono esposte le criticità ma anche delle utili proposte per rendere i test sempre più utili e completi. Cito ad esempio la proposta di introduzione dei testi ecotossicità a completamento del quadro chimico e non in alternativa alle analisi chimiche già prescritte e normate.

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Di grande interesse poi gli interventi relativi alla ricerca ed ai test svolti per indagare le caratteristiche come materiali da costruzione dei prodotti da riutilizzare, con confronti fra le prestazioni dei materiali naturali e quelli provenienti da riutilizzo.

I diversi interventi che si sono succeduti hanno delineato un quadro di grande interesse per la tematica inserendola anche in una prospettiva di economia circolare.

L’intervento di Edo Ronchi, Presidente della Fondazione per lo sviluppo Sostenibile ci ha restituito un fotografia reale della situazione veneta in cui, nel 2015, alcuni indicatori hanno mostrato gli effetti di una: “…implementazione di sistemi di demolizione selettiva degli edifici (grazie anche all’applicazione della Delibera della Giunta Regionale del Veneto DGRV 1773/2012)…”

Secondo questi studi il rifiuto da costruzione e demolizione viene destinato a recupero al 95%. Nonostante questo dato incoraggiante, è stato sottolineato che nell’ottica della circolarità la riduzione di rifiuti deve essere accompagnata dal miglioramento della qualità nei prodotti riciclati e del loro utilizzo, per arrivare al risparmio di materie prime vergini. Poichè il 63.5% dei rifiuti da costruzione e demolizione viene impiegato per produrre aggregati riciclati (font ARPAV), si vede come la strada sia segnata ma ancora in gran parte da percorrere.

elisa scomazzon
Fessurazioni e lesioni su edifici esistenti

Le normali cavillature e le piccole fessurazioni degli edifici, che compaiono anche dopo diversi anni dalla loro costruzione sono segnali a cui siamo abituati e che non ci allarmano particolarmente. Tuttavia succede in alcuni casi che le cavillature diventino crepe, le finestre e le porte comincino a non aprirsi più in maniera fluida fino ad arrivare nei casi più preoccupanti a vere e proprie fessure passanti sulle pareti degli edifici.

Quando succede questo, il primo passo da fare è certamente quello di andare ad indagare i motivi che hanno provocato le variazioni.

Per indagare le cause, a meno che non si ricada nel caso di difetti progettuali o costruttivi evidenti, siamo costretti ad abbandonare la visione per “blocchi” in cui ogni elemento ha peculiari proprietà e funzioni, per addentrarci in un sistema reale, in cui le caratteristiche geologiche geomorfologiche e idrogeologiche dei terreni vanno ad interagire con un edificio, creando rapporti di forza unici.

Il caso delle fessurazioni sugli edifici è sicuramente quello in cui l’esperienza e la casistica accumulata nel corso degli anni è più importante, in quanto non si parla di sistemi e modelli dati da bibliografia, ma di vere e proprie investigazioni in cui si procede spesso per esclusione per trovare i meccanismi di innesco dei cedimenti.

Invito i tecnici a diffidare di chi disegna scenari o addirittura offre soluzioni senza una approfondita analisi delle condizioni al contorno, poichè si tratterebbe di magia. Nella migliore delle ipotesi si sanerebbero le fessure che però rischierebbero di riaprirsi nel caso in cui non sia stato rimosso il fenomeno che le ha generate.

Infatti, prima di qualsiasi intervento di ripristino è necessario definire se le cause sono in essere oppure si sono esaurite e se la struttura ha già completato la sua risposta alle mutate condizioni.

Può succedere anche che siano necessarie due indagini geognostiche, la prima per definire le cause dei dissesti e la seconda, in cui si raccolgono dati geomeccanici utili alla progettazione degli interventi di contenimento e ripristino dell’equilibrio.

Si deve comunque ricordare che il confronto attivo fra tutte le figure tecniche che intervengono è di fondamentale importanza come ho avuto modo di verificare personalmente nei casi reali affrontati.

La tutela dal GAS RADON negli edifici residenziali - aspetti normativi

Il Radon è un gas nobile, radioattivo e radiogenico, presente nell’ambiente naturale (rocce, sedimenti, suoli, acqua, atmosfera). In natura esistono tre isotopi principali del Radon, il 222Rn (detto semplicemente Radon), il 220Rn (conosciuto anche come Toron) e il Rn (detto Actinon),appartenenti, rispettivamente, alle famiglie radioattive aventi come capostipiti 232Th e 235 219U (Bourdon et al., 2003). Però è il 222Rn (di seguito indicato semplicemente come Radon) l’isotopo caratterizzato dal tempo di dimezzamento più lungo, (3.82 giorni) ed è quindi quello con una maggiore abbondanza e permanenza nell’ambiente.

Le principali sorgenti del Radon all’interno degli edifici sono, nell’ordine: il sottosuolo, i materiali da costruzione e l’acqua utilizzata a fini domestici.

 Il substrato geologico e l’assetto strutturale giocano però il ruolo principale nei processi di potenziale apporto del Radon negli edifici.

Gli elementi che più condizionano la concentrazione del Radon nel sottosuolo e il suo trasporto attraverso le fondazioni sono: la natura delle rocce, la loro composizione mineralogica, la concentrazione degli elementi che lo originano (Uranio, Torio e Radio), la porosità, la permeabilità, il contenuto d’acqua, la presenza di fratture faglie e cavità.

Il meccanismo con il quale radon penetra all’interno degli edifici risalendo dal suolo è determinato dalla differenza di pressione tra l’edificio e l’ambiente circostante noto come ”effetto camino”. La pressione all’interno dell’edificio è infatti, a causa della temperatura interna più elevata, generalmente inferiore rispetto a quella esterna. Questa differenza di pressione determina il richiamo di aria e, con essa del radon, che viene esalato dal sottosuolo verso gli ambienti residenziali. Anche i parametri climatici esterni (ad esempio temperatura esterna, la velocità del vento, la copertura nevosa o la saturazione del terreno in caso di pioggia ecc.) hanno una forte influenza sulla risalita di radon dal suolo. E’ per tutte queste ragioni che la presenza del radon in un determinato locale varia fortemente nell’ambito della stessa giornata (tra giorno e notte) e tra stagione e stagione.

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Nei primi anni novanta (1989-1997) l’APAT e l’Istituto Superiore di Sanita’ hanno condotto, su richiesta della Organizzazione Mondiale della Sanita’, uno screening nazionale per la conoscenza della esposizione media al radon dei cittadini italiani.

La media annuale nazionale della concentrazione di radon è risultata pari a 70 Bq/m3, superiore a quella mondiale che è stata stimata intorno a 40 Bq/m3.

Nel 4,1 % delle abitazioni si è misurata una concentrazione superiore a 200 Bq/m3, e nello 0.9% una concentrazione superiore a 400 Bq/m3.

I risultati sono mostrati nella figura, dove le regioni sono diversamente evidenziate in funzione del valore medio delle concentrazioni misurate. Si può notare come in Lombardia, così come nel Lazio, siano state riscontrate le più elevate concentrazioni di radon; seguono il Friuli Venezia Giulia e la Campania.


Il gas passa quindi attraverso tutte le microfratture presenti sul pavimento e sulle pareti nonchè attraverso i servizi tecnologici (gas, elettricita’ fognatura etc).

Mentre negli ambienti di lavoro la normativa riguardante le concentrazioni di gas radon è da tempo attuata, nell’edilizia residenziale ancora manca , a nostro parere, la giusta attenzione benchè da anni sia in corso da parte delle agenzie per l’ambiente regionali e statali monitoraggi di aree geologicamente suscettibili a questa problematica.


Riteniamo a questo proposito che sia importante conoscere che la:

Direttiva Euratom 59/2013 del 05-12-2013 pubblicata il 17-01-2014 che detta nuove disposizioni per la salvaguardia della popolazione dalle radiazioni ionizzanti. Dovrà essere recepita nella legislazione nazionale non oltre novembre 2018

Al suo interno si trovano riferimenti specifici alla salvaguardia delle abitazioni in particolare:

Articolo 74

Esposizione al radon in ambienti chiusi

2. Nell'ambito del piano d'azione nazionale di cui all'arti­colo 103, gli Stati membri promuovono interventi volti a indi­viduare le abitazioni che presentano concentrazioni di radon (come media annua) superiori al livello di riferimento e, se del caso, incoraggiano, con strumenti tecnici o di altro tipo, misure di riduzione della concentrazione di radon in tali abita­zioni.

Articolo 103

Piano d'azione per il radon

1. In applicazione dell'articolo 100, paragrafo 1, gli Stati membri definiscono un piano d'azione nazionale che affronta i rischi di lungo termine dovuti alle esposizioni al radon nelle abitazioni, negli edifici pubblici e nei luoghi di lavoro per qual­siasi fonte di radon, sia essa il suolo, i materiali da costruzione o l'acqua. Il piano d'azione tiene conto degli aspetti elencati nel­l'allegato XVIII ed è aggiornato periodicamente.

2. Gli Stati membri provvedono affinché siano adottate mi­sure appropriate per prevenire l’ingresso del radon in nuovi edifici. Tali misure possono comportare l'introduzione di pre­scrizioni specifiche nelle norme edilizie nazionali.

3. Gli Stati membri individuano le zone in cui si prevede che la concentrazione di radon (come media annua) superi il perti­nente livello di riferimento nazionale in un numero significativo di edifici.

L’italia non è impreparata di fronte a questa problematica, studi e monitoraggi delle concentrazioni di gas radon sono stati svolti in maniera capillare e sistematica negli ultimi anni dalle principali agenzie per la tutela dell’ambiente.

Come professionista sono chiamata a valutare il rischio e proporre gli interventi di mitigazione più efficaci; in quest’ottica una normativa nazionale unitaria insieme a dei protocolli redatti sulla base delle migliori esperienze sono elementi fondamentali, insieme alla conoscenza geologica del territorio.

L'indagine geologica e geotecnica fa risparmiare
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Uscire una volta per tutte dall'idea che l'indagine geologica e geotecnica sia una semplice pratica da sbrigare quando si vuole eseguire qualsiasi tipo di intervento edilizio, potrebbe essere più conveniente di quello che si può immaginare.
Tra i motivi a favore dell'esecuzione dell'indagine geologica possiamo accennare al fatto che:

  • una indagine geologica idrogeologica e geotecnica commisurata all'opera in progetto può evitare l'insorgenza di alcune complicanze legate alle condizioni al contorno (aree di dissesto latente o in atto, frane, zone esondabili o soggette a ristagno idrico) evitando in questo modo costose modifiche in corso d'opera o addirittura interventi di mitigazione eseguiti al completamento della costruzione

  • una indagine geologica e geotecnica puntuale e completa può evitare l'insorgenza di alcune complicanze legate alle caratteristiche stratigrafiche del sito (presenza di terreni molto compressibili argillosi o addirittura organici, torbe) quali possono essere cedimenti a lungo termine e o differenziati alla base degli edifici

In sostanza viviamo un periodo storico in cui l'ingegneria e le tecnologie costruttive permettono di realizzare opere in condizioni difficilissime, nello stesso tempo i budget a disposizione sono sempre più esigui, da qui l'esigenza di non disperdere risorse per tamponare situazioni prevedibili fin dalle prime fasi di progettazione.

Vi sono inoltre casi in cui si ha un problema da risolvere ed un  budget predeterminato oltre la quale non si può andare.   Ecco che in questi casi, la conoscenza completa ed approfondita dell'assetto geologico geotecnico, idrogeologico e geomorfologico diventa, a maggior ragione, fondamentale per la realizzazione dell'opera. 


Il risparmio economico si fa tangibile quando l'indagine geologica non è intesa come una spesa o un obbligo imposto dall'alto, bensì uno strumento che aiuta nella progettazione a non disperdere risorse tamponando brutte sorprese, a prevedere interventi commisurati alle problematiche presenti. 

elisa scomazzon
Programmazione delle prove in sito

Per una corretta analisi dei rapporti terreno-struttura è necessaria una conoscenza approfondita e specifica riguardo i terreni presenti e le loro condizioni geologiche, geotecniche e idrogeologiche, nonché del progetto edilizio.
Sulla base dell'intervento che si intende realizzare, dopo una fase di analisi del progetto e confronto con il tecnico incaricato, si avanza la propria offerta per l'indagine geognostica e la relazione geologica e geotecnica del caso.

La programmazione delle prove in sito, per una relazione geologica e geotecnica, deve perciò rispondere a diverse esigenze quali:

  • inquadrare dal punto di vista geologico il sito
  • raccogliere dati utili per la parametrizzazione geomeccanica dei terreni di fondazione
  • fornire dati relativi all'idrogeologia ed alla presenza di falda
  • parametrizzare dal punto di vista sismico il sito secondo NTC
  • individuare le dinamiche geomorfologiche in corso oppure quiescenti e la loro eventuale possibilità di riattivazione a seguito dell'intervento in progetto (es. frane e dissesti, ruscellamenti ecc.)

Una indagine si può considerare ben dimensionata quante più informazioni si ricavano con il minimo sforzo investigativo. Si tratta spesso di un calcolo molto preciso in cui da tecnici siamo chiamati a rispondere a molte domande cercando di ottimizzare le risorse (sempre minime) a disposizione.

Così diventa fondamentale conoscere i mezzi investigativi, le tipologie di prove in sito disponibili, i risultati attesi, la loro precisione ed il range di affidabilità. La scelta finale del tipo di indagine si fa alla luce dell'entità dell'intervento edilizio in progetto; chiaramente, costruire un edificio multipiano richiede un grado di accuratezza diverso rispetto alla costruzione di un pollaio.

Ora mettiamo il caso di aver programmato una indagine geologica e geotecnica congrua ed approfondita a supporto di un progetto edilizio, cosa potrà mai andare storto?
Beh, secondo la mia personale esperienza, è più breve la lista di quello che può andare a buon fine senza intoppi.
Si possono presentare diversi inconvenienti: trovare un banco ghiaioso molto addensato che ferma le prove a pochi metri di profondità, problemi di logistica e accesso al sito, intercettare condotte cavi o tubazioni interrate sono solo alcuni.

In conclusione, posso affermare che partire con il piede giusto è altrettanto importante come essere pronti a cambiare strada, se necessario.

elisa scomazzon
PAT (Piano di Assetto Territoriale), il ruolo del geologo

 Il piano di assetto del territorio (PAT), redatto sulla base di previsioni decennali, fissa gli obiettivi e le condizioni di sostenibilità degli interventi e delle trasformazioni ammissibili  come definito nell''articolo 13 della L.R. 11/2004 

E' lo strumento principe per la pianificazione degli interventi urbanistici a livello comunale, per questo è necessario che si basi su una solida conoscenza delle condizioni geologiche, idrogeologiche e geomorfologiche del territorio.

 

L'apporto del Geologo, in questo caso, è quello di implementare il quadro conoscitivo fornendo tutte le informazioni su geologia, idrogeologia e geomorfologia del territorio comunale.
Il nostro studio ha recentemente visto la conclusione  dell'iter di approvazione del PAT del Comune di Camisano Vicentino, un lavoro che ci ha coinvolti in prima persona nella redazione del piano conoscitivo per la matrice geologia.

Nel nostro caso sono state analizzate e normalizzate più di 300 prove in sito di varia natura, come: prove penetrometriche statiche (Cone Penetration Test), sondaggi a carotaggio continuo, trincee geognostiche, distribuite su tutto il territorio comunale. E' stata eseguita anche un'analisi aerofotogrammetrica su documentazione storica in cui abbiamo ricercato tracce dirette delle impronte lasciate dalla morfodinamica antica.

Il risultato delle osservazioni di campagna e dei dati bibliografici è stato sintetizzato in carte tematiche: Carta geologico stratigrafica, carta idrogeologica, carta geomorfologica ed in una relazione geologica che inquadra l'intero territorio descrivendolo nelle sue peculiarità geologico stratigrafiche, idrogeologiche e geomorfologiche.

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Lo step successivo alla redazione del quadro conoscitivo è consistito nell'individuare tutte le possibili vulnerabilità del territorio. Sono state sintetizzate in un'apposita carta tematica le informazioni relative alle fragilità, quali:

  • fragilità di natura geologica, ad esempio con terreni dalle caratteristiche geomeccaniche scadenti,
  • fragilità di natura idrogeologica, mettendo in evidenza zone a ristagno idrico o soggette ad esondazione
  • fragilità di natura geomorfologica, per la presenza di elementi morfologici in evoluzione (frane, dissesti, torrenti) e quindi potenzialmente pericolosi per gli insediamenti.
  • vincoli e fragilità già individuate da cartografia di grado superiore PTCP ecc.

La Carta delle Fragilità contiene la sintesi dell'interpretazione di tutti gli elementi naturali costitutivi del territorio e della loro possibile interazione con gli insediamenti umani. Suddivide il territorio in tre categorie a diversa vocazione: aree edificabili (in colore verde), aree edificabili a condizione (in colore giallo) e aree non edificabili (in colore rosso). Le aree edificabili a condizione e non edificabili a loro volta contengono simbologie codificate che ne definiscono il tipo di vulnerabilità.

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Appare chiaro, conoscendo alcuni aspetti fondanti della realizzazione dei nuovi strumenti urbanistici, come le scelte di destinazione ed i vincoli siano il risultato dell'elaborazione di molte informazioni, su molti livelli e  provenienti da diversi specialisti.

Spiegare i metodi, gli step e le finalità con cui viene realizzata la pianificazione urbanistica, porta una informazione in più, che può contribuire ad avvicinare, attraverso lo strumento della conoscenza e della condivisione, il cittadino al suo territorio.

Il Geologo può contribuire in maniera determinante a questa conoscenza, fornendo una base obbiettiva e approfondita, una "tela" sulla quale disegnare città più sicure e moderne.

elisa scomazzon
Novità normative: DM 17/01/2018 - aggiornamento delle "norme tecniche per le costruzioni"
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Sono state pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale n. 8, le nuove Norme Tecniche per le Costruzioni NTC 2018, che saranno in vigore dal prossimo 22 marzo.

Già ad una prima lettura della norma è evidente una nuova attenzione verso l'inquadramento geologico dei luoghi in senso ampio, estendendo il cono d'indagine anche alle condizioni al contorno.

Infatti nel capitolo 6 - Progettazione Geotecnica - si legge :

6.2. ARTICOLAZIONE DEL PROGETTO  
Il progetto delle opere e degli interventi si articola nelle seguenti fasi:
1. caratterizzazione e modellazione geologica del sito; 
2. scelta del tipo di opera o di intervento e programmazione delle indagini geotecniche;
3. caratterizzazione fisico-meccanica dei terreni e delle rocce presenti nel volume significativo e definizione dei modelli geotecnici
di sottosuolo (cfr. § 3.2.2);
4. definizione delle fasi e delle modalità costruttive;
5. verifiche della sicurezza e delle prestazioni
6. programmazione delle attività di controllo e monitoraggio. 

6.2.1. CARATTERIZZAZIONE E MODELLAZIONE GEOLOGICA DEL SITO
Il modello geologico di riferimento è la ricostruzione concettuale della storia evolutiva dell’area di studio, attraverso la descrizione
delle peculiarità  genetiche dei diversi terreni presenti, delle dinamiche dei diversi termini litologici, dei rapporti di giustapposizione
reciproca, delle vicende tettoniche subite e dell’azione dei diversi agenti morfogenetici.

La caratterizzazione e la modellazione geologica del sito deve comprendere la ricostruzione dei caratteri litologici, stratigrafici, 
strutturali, idrogeologici, geomorfologici e, più in generale, di pericolosità geologica del territorio, descritti e sintetizzati dal modello
geologico di riferimento. In funzione del tipo di opera, di intervento e della complessità del contesto geologico nel quale si inserisce l’opera, specifiche indagini saranno finalizzate alla documentata ricostruzione del modello geologico. 
Il modello geologico deve essere sviluppato in modo da costituire elemento di riferimento per il progettista per inquadrare i problemi
geotecnici e per definire il programma delle indagini geotecniche. La caratterizzazione e la modellazione geologica del sito devono essere esaurientemente esposte  e commentate in una relazione geologica, che è parte integrante del progetto. Tale relazione comprende, sulla base di specifici rilievi ed indagini , la identificazione delle formazioni presenti nel sito, lo studio dei tipi litologici, della struttura del sottosuolo e dei  caratteri fisici degli ammassi, definisce il modello geologico del sottosuolo, illustra e caratterizza gli aspetti stratigrafici, strutturali, idrogeologici,  geomorfologici, nonché i conseguenti livelli delle pericolosità geologiche.

Possiamo dire che, seppure per gradi, la normativa si stia avvicinando sempre più ad una visione "olistica" degli interventi di costruzione, includendo finalmente anche la conoscenza dell'assetto geologico, idrogeologico e geomorfologico come elemento di base della progettazione e non come sfondo.

A seguito di queste interessanti premesse attendiamo la CIRCOLARE APPLICATIVA con le istruzioni alle NTC e le appendici agli Eurocodici 2018, nella speranza di non assistere all'ennesima battaglia di competenze fra professionisti.

elisa scomazzon
Novità normative: DPR n.120/2017 - gestione delle terre e rocce da scavo

Regolamento recante la disciplina semplificata della gestione delle terre e rocce da scavo, ai sensi dell'articolo 8 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164

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Il percorso per la certificazione dei materiali da scavo era iniziato nella Regione Veneto già con la DELIBERAZIONE DELLA GIUNTA REGIONALE n. 2424 del 08 agosto 2008 “Procedure operative per la gestione delle terre e rocce da scavo ai sensi dell'articolo 186 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.”

Il nuovo decreto in materia di terre e rocce da scavo mette ordine nella materia a livello nazionale.

Le finalità del regolamento, in attuazione delle disposizioni della direttiva  2008/98/CE è quella di riordinare e semplificare la disciplina che governa la gestione delle terre e rocce da scavo, assicurando i necessari livelli di tutela ambientale e sanitaria.

A questo scopo sono state introdotte nuove definizioni e nuovi criteri di esclusione dal campo di applicazione delle norme sui rifiuti.

Il D.Lgs. n.152/2006 stabiliva all'Art.183 c.1 lett. a) la definizione di rifiuto: "qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l'obbligo di disfarsi". 
Tuttavia, nel caso di terre e rocce che soddisfano i requisiti per la definizione di sottoprodotto, definiti dall'Art.184-bis della succitata normativa, non si parla più di rifiuto ma di sottoprodotto con tutte le conseguenze a livello operativo e di gestione pratica del materiale.
I contenuti del nuovo D.P.R. rispondono alle esigenze di progettisti ed operatori che si trovano nella necessità di mobilitare materiali provenienti da scavi fornendo:
  • le definizioni di base, come ad esempio: suolo , terre e rocce da scavo.
  • novità sulla gestione delle terre e rocce da scavo nei siti oggetto di bonifica
  • definizione di cantiere di grandi dimensioni e di piccole dimensioni
  • i requisiti di qualità ambientale, nell'allegato 4 - Procedure di caratterizzazione chimico-fisiche e accertamento delle qualità ambientali (art.4)
  • metodologia di quantificazione dei materiali di riporto - allegato 10 -
  • modulistica specifica 
  • tempi di presentazione della modulistica agli enti competenti
Qui il testo integrale della norma.

In un quadro legislativo così articolato la figura del geologo diventa di fondamentale importanza per il team di progettazione, affiancandolo nella fase di definizione dei materiali presenti nel sottosuolo, nella loro caratterizzazione chimico fisica e nelle procedure di definizione della destinazione finale dei materiali.